Ha una sigla difficile la pittura di questo […] autore […], non solo perché si orienta sul versante del non formale e del gestuale ma anche per il rarefatto cromatismo nel quale si declinano volumi e forme. Mi pare, tuttavia, che nei lavori di Tansini vi sia una leggibilità confortante ove li si approcci per quello che sono: una metafora del visibile, una lettura ed una nuova scrittura del reale, una formulazione meditata e tutt’affatto spontanea con la quale ci si trova in sintonia quanto più si libera la mente dai vincoli del visibile, del banale stringente quotidiano.
Occorre, per così dire, recuperare, per trovarsi in empatia con la pittura tansiniana, la libertà fantastica dell’infanzia, quella per cui ci si incantava ad osservare i gorghi dell’acqua sulla sabbia, le creste e le circonvoluzioni del terreno, lo svagare delle nuvole o il susseguirsi delle onde: la naturalità più che la realtà naturale sembra dettare le sue coordinate al pittore […] il quale se ne appropria dentro la misura del quadro. La tavola è, per Tansini, lo spazio naturale, senza confini né limiti che quelli della libertà, una libertà di essere che viene a galla, anzi porta a galla inconsuete e inusitate verità: la pittura lievita come un magma ribollente, sgocciola, cola e s’increspa in creste, rileva anfratti e s’incaglia in pliche di plastica consistenza. La materia assume in questi lavori tansiniani una primordiale consistenza, una variegazione pulsante che esalta il disporsi per masse, lo spiegarsi per piani e fa aggallare, non sempre ma spesso comunque, larvati richiami alla oggettività riconoscibile del reale. Visionaria, dunque, la chiave interpretativa quando affonda il suo essere pittura nel colore, in quell’impasto di colori che “fanno” un colore nuovo, diverso e cangiante, nel quale non uno ma molti sono gli interventi che arricchiscono le cromie e danno vita a vibranti essenze cromatiche “personalizzate”, per così dire, quadro per quadro, sulla cui superficie battono le luci in subitanee iridescenze.
Quand’anche la forma ed il segno prevalgano sulla materia e sul colore ed Erminio Tansini scelga la sobrietà del nero e la quiete dei colori freddi e demandi al segno, solo al segno puro e pennellato come in un ideogramma Zen, la funzione di denunciare il suo discorso, di farsi voce del silenzio che sembra inghiottire lo spazio vuoto all’intorno, anche allora si ha la percezione di trovarsi di fronte ad una sensibilità che si nasconde per il pudore di mostrarsi, ad una delicatezza che ha toni ritrosi e rossori inconsueti ai nostri giorni. Forse è questo che si annida nei silenzi e nelle solitudini astrali dei mondi che invadono con il loro “corpo” la dimensione pittorica dell’autore […] ma anche ciò che ne esalta la lirica seduzione.
Tiziana Cordani
Tratto da: «La Cronaca», Cremona, 68, XIV, 2007, p. 36.
© «In arce»: tutti i diritti riservati – Pubblicato il 10 marzo 2020 – Aggiornato al 23 settembre 2020